
Attraverso l’aggiornamento delle competenze i lavoratori possono tenersi al passo coi tempi e adattarsi al futuro. Cos’è il reskilling e qual è la sua portata nel mondo professionale?
Mai come negli ultimi anni le innovazioni digitali hanno costretto le aziende di tutto il mondo a una corsa sfrenata, nel tentativo di stare al passo con l’evoluzione.
Il mondo del lavoro in questo senso è emblematico: attraversato dalle novità in campo tecnologico, necessita sempre più di personale altamente competente, capace di adeguarsi ai mutamenti. Qualunque evoluzione digitale, per quanto eccezionale, è infatti inutile senza le competenze umane in grado di gestirla.
Un modo per restare sempre aggiornati esiste: vediamo cos’è il reskilling e come si applica alla crescita delle aziende.
Il lavoratore come elemento cardine dell’innovazione
Viene definita Quarta Rivoluzione Industriale (o Industria 4.0) l’ondata di digitalizzazione che sta attraversando il mondo. Se l’emergenza sanitaria causata dal Covid-19 ha rischiato da un lato di mettere in ginocchio numerosi settori, dall’altro ha accelerato una tendenza già evidente e costretto una percentuale notevole di aziende in tutto il mondo ad affidare i propri processi lavorativi a nuovi sistemi digitali.
Si pensi solo al recente incremento del lavoro da remoto nel 2020 o al potenziamento delle vendite online, nonché agli interessanti risultati raggiunti dalle aziende capaci di dimostrare flessibilità alle innovazioni.
Questo vento di cambiamento non può però soffiare senza tener conto di importanti fattori. Nessuna macchina può lavorare al pieno delle proprie potenzialità senza appoggiarsi all’intervento umano, che rimane di importanza cruciale anche con l’avvento delle nuove tecnologie. Il futuro del lavoro – che si configura sempre più come un presente del lavoro – consiste proprio nella cooperazione tra risorse digitali e risorse umane, due mondi che non devono più essere visti come paralleli, bensì complementari.
Il ricorso ad automazioni infatti mira solo in parte a sostituire la singola persona nei processi industriali, proprio perché ogni nuovo contributo tecnologico necessità di conoscenze umane per essere applicabile.
Si può dunque parlare di una rivoluzione umana, oltre che industriale e tecnologica, poiché il fulcro del lavoro continua a essere il lavoratore stesso, dotato di un bagaglio di competenze che non può rimanere statico.
Per capire come l’aggiornamento costante delle competenze può avvenire, è importante comprendere cos’è il reskilling, parola chiave del futuro del lavoro.
Come adattarsi all’evoluzione: cos’è il reskilling e perché è importante per il futuro?
Negli ultimi anni si sono registrate due tendenze contrapposte nel mondo aziendale. Da un lato un atteggiamento restio nell’investire in corsi di formazione mirati per aggiornare le competenze dei dipendenti, dall’altro la consapevolezza da parte dei dirigenti di quanto colmare lo skill gap sia importante per il futuro del lavoro.
Sebbene siano basse le percentuali di lavoratori che possiedono competenze in campo digitale (solo il 40% in Europa) e quelle di coloro che le potenziano con corsi di aggiornamento quando il loro ruolo si trova a rischio (30%), le speranze per il futuro sono buone, poiché in ambito aziendale si sta diffondendo la necessità di un radicale cambiamento1.
Esso si traduce proprio in upskilling e reskilling, due facce della stessa medaglia.
Con upskilling si indica una formazione che mira ad aggiornare e a incrementare le competenze di un lavoratore per garantire al dipendente uno svolgimento migliore delle mansioni nello stesso ruolo.
Ma cos’è il reskilling, vero protagonista di questa quarta rivoluzione industriale? Esso è lo strumento indispensabile per chi vuole far parte attivamente del futuro del lavoro, con spirito flessibile e desiderio di mettersi alla prova. Il termine fa infatti riferimento non all’apprendimento di competenze aggiornate, ma allo sviluppo di nuove skill, diverse da quelle di cui il dipendente è già in possesso. Lo scopo del reskilling è permettere al lavoratore di ricoprire ruoli nuovi, nel caso quelli vecchi diventassero col tempo obsoleti.
Un importante studio condotto nel rapporto Future of Jobs 2018 ha evidenziato che nell’arco di pochissimi anni saranno 75 milioni i ruoli lavorativi che andranno incontro a un forte cambiamento. La loro sostituzione (che secondo le stime avverrà entro il 2022) dovrà essere affrontata grazie a una massiccia opera di formazione: circa il 54% di lavoratori dovrà ricorrere quindi al reskilling2.
Poiché negli ultimi anni è difficile trovare occupazioni che non richiedano in piccola parte qualche competenza informatica e tecnica, il reskilling mira ad allargare le digital skill a un numero sempre più alto di lavoratori.
Definire questa pratica un mero strumento dell’innovazione tecnologica è tuttavia riduttivo: i dipendenti saranno certamente in grado di affrontare il futuro del lavoro grazie a conoscenze mirate, ma è altrettanto cruciale padroneggiare al meglio le soft skills, ossia tutto quel campionario di competenze che riguardano l’adattabilità del lavoratore, la sua creatività, la rapidità nel problem solving e le capacità di interazione, abilità talvolta innate ma potenziabili tramite un programma formativo accurato e personalizzato come quello di Braavery.
Si dovrà partire anzitutto da un attento monitoraggio delle competenze dei dipendenti, da parte di manager e responsabili delle risorse umane, o degli stessi lavoratori attraverso strumenti online. Tra questi il programma di Skill Assessment di Braavery individua gratuitamente le lacune nelle competenze dell’utente, per stabilire poi un corso formativo personalizzato.
È inoltre necessario combattere la tendenza a rinfrescare l’organico tramite nuove assunzioni, a favore di un intervento di reskilling dei dipendenti di lunga data.
Siamo davvero pronti per il reskilling?
Dopo aver capito cos’è il reskilling è importante valutare la sua adattabilità al presente.
In quanto strumento prezioso per il potenziamento delle competenze, esso deve essere applicato su scala globale per far sì che aziende e dipendenti si adeguino a mutamenti già in atto. Tanto i dipendenti quanto i manager, devono avere accesso a tutti gli strumenti e alle conoscenze richiesti dai cambiamenti digitali in atto.
Recenti studi hanno tuttavia evidenziato alcuni ostacoli nella creazione di appositi percorsi formativi.
Il gap tra necessità di cambiamento e ritrosia nell’affrontarlo è una delle principali debolezze da abbattere per il benessere del mercato e non riguarda solo la paura di investire in formazione, ma anche l’approccio concreto nei confronti di questa quarta rivoluzione industriale.
Ma quali sono i problemi che rischiano di rallentare un ampio e valido processo di reskilling?
Il limite più evidente è di tipo economico. Le aziende hanno capito cos’è il reskilling e quale sia la sua portata, ma per quanto esso rappresenti il metodo più efficace per adeguare le competenze dei lavoratori alle richieste di mercato, è innegabile che i costi di questo processo di riallineamento siano ingenti. L’approccio di fronte a questa necessità di investimento è diverso di Paese in Paese, disparità che rappresenta un altro grande ostacolo al cambiamento.
Se alcune aziende sono in grado di far fronte alle spese, altre realtà imprenditoriali preferiscono rivolgersi a metodi differenti per aggiornare la propria forza lavoro, come per esempio reclutare di volta in volta professionisti già in possesso delle competenze richieste3.
Un altro ostacolo è rappresentato inoltre dalle condizioni demografiche di alcuni Paesi e dall’età media dei lavoratori (l’Italia è un esempio evidente), che dimostrano difficoltà maggiori rispetto ai dipendenti più giovani nell’apprendimento di nuove skill.
La rapida evoluzione digitale a cui il mondo del lavoro sta andando incontro potrebbe svantaggiare coloro che da anni non intraprendono percorsi formativi e che più raramente vengono sottoposti a corsi di aggiornamento.
La necessità di aggiornamento riguarda però anche le fasce più giovani, poiché i cambiamenti in campo tecnologico e digitale sono tanto repentini da rendere obsolete anche le loro competenze nel giro di pochi anni.
Un’opera di upskilling e reskilling è dunque fondamentale – a patto che sia frutto di un programma mirato – per abbattere questi limiti e aprire il mondo al cambiamento4.
La tendenza registrata dalle statistiche mostra comunque una generale consapevolezza dell’importanza dell’aggiornamento delle skills per il benessere aziendale e per la realizzazione professionale del singolo dipendente. Molte aziende mondiali – soprattutto dopo la pandemia di Coronavirus – hanno compreso quanto fosse cruciale accogliere il cambiamento in un momento di crisi, per ripartire dal potenziamento delle competenze dei lavoratori5.
Le prospettive per il futuro sono dunque positive, man mano che l’ondata di digitalizzazione – accelerata dalla recente pandemia e dal conseguente lockdown – mette in evidenza le necessità del mondo lavorativo. Oltre a comprendere a fondo cos’è il reskilling è cruciale che venga applicato su scala internazionale, per trarre il massimo dalle capacità dei dipendenti.
Sabrina Bocchino
Note
- https://www.adamiassociati.com/reskilling/
- http://www3.weforum.org/docs/WEF_Future_of_Jobs_2018.pdf
- https://www.hr-link.it/reskilling-alto-costo-per-stare-al-passo-di-industria-4-0/
- http://www.bollettinoadapt.it/towards-a-reskilling-revolution-il-futuro-del-lavoro-passa-per-la-formazione-continua/
- https://www.hr-link.it/ripartenza-post-covid-da-harvard-i-suggerimenti-che-puntano-su-riqualificazione-e-formazione/